1984 non
è soltanto uno dei grandi classici del Novecento: è
l'archetipo del romanzo distopico, a cui tanta letteratura e tanto
cinema successivi sono debitori. La fantascienza può invecchiare bene, ma solitamente invecchia. Dato che si avventura a descrivere
il futuro, le sue invenzioni (brillanti o ingenue che siano) finiscono per essere superate. Ma la grande
fantascienza, invece di invecchiare, si trasforma in ucronia:
oggi il mondo immaginato da Orwell ci appare come una storia
alternativa tutt'altro che improbabile. Meglio ancora: quel mondo ci
sembra così cupo e inquietante non perché semplicemente distante
dal nostro, ma perché in un certo senso rappresenta l'esito
più coerente della storia del
secolo scorso. Delle argomentazioni del funzionario del Partito non
ci sorprende la follia o il cinismo, ma la logica spietata: se
l'umanità degli anni Quaranta avesse voluto portare alcuni principi
fino alle estreme conseguenze, il risultato sarebbe stato quello
immaginato da Orwell (e se non è andata così, questo dipende in
parte dal puro caso e in parte dal fatto che non sempre l'uomo, pur
ammettendo certi principi, è disposto ad accettarne anche le necessarie implicazioni logiche).
Nel
mondo di 1984, alla
seconda guerra mondiale è seguita una nuova fase di conflitti tra le
superpotenze vincitrici, con l'impiego di bombe atomiche su vasta
scala sulle grandi città industriali della Russia europea,
dell'Europa occidentale e del Nord America (p. 202*). Non sappiamo come siano cambiate queste regioni, ma nel testo sono citate (oltre alla città di Londra dove vive Winston Smith, in una Gran Bretagna ribattezzata «Pista d'Atterraggio Uno») New York, Parigi e Berlino (p. 230).
Eurasia e Oceania sono nate con l'assorbimento
dell'Europa continentale da parte dell'Unione Sovietica e dell'impero
britannico da parte degli Stati Uniti, e dopo circa un decennio è nato il super-Stato dell'Estasia (corrispondente grosso modo alla Cina).
Le frontiere fra i tre super-Stati sono in alcuni luoghi arbitrarie, e in altri fluttuano in base alle vicende della guerra, ma in generale seguono i confini geografici. L'Eurasia comprende l'intera parte settentrionale delle masse continentali europea e asiatica, dal Portogallo allo stretto di Bering. L'Oceania comprende le Americhe, le isole atlantiche incluse le isole britanniche, l'Australasia e la porzione meridionale dell'Africa. L'Estasia, più piccola delle altre e con una frontiera occidentale meno definita, comprende la Cina e i paesi a sud di essa, le isole giapponesi e una vasta ma instabile porzione della Manciuria, della Mongolia e del Tibet (pp. 192-193).
Fra le frontiere dei super-Stati, e senza che alcuno di essi riesca a impadronirsene permanentemente, c'è un quadrilatero i cui angoli sono Tangeri, Brazzaville, Darwin e Hong Kong, contenente circa un quinto della popolazione mondiale. È per il possesso di queste regioni densamente popolate, e della regione artica, che le tre potenze stanno combattendo costantemente. […]Si noti che i combattimenti non arrivano mai oltre i limiti delle regioni contese. Le frontiere dell'Eurasia si spostano avanti e indietro fra il bacino del Congo e la costa settentrionale del Mediterraneo; le isole dell'Oceano Indiano e del Pacifico vengono costantemente perse e rioccupate dall'Oceania o dall'Estasia; in Mongolia il confine tra Eurasia ed Estasia non è mai stabile; attorno al Polo tutte e tre le potenze rivendicano enormi territori che sono in realtà per lo più disabitati e inesplorati: ma l'equilibrio delle forze resta sempre grosso modo costante, e il territorio che forma il cuore di ciascun super-Stato rimane inviolato (pp. 195-196).
*Per le citazioni si fa riferimento all'edizione inglese Penguin del 2008.