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L'uomo
che cambiò il nostro modo di vedere il mondo, di quel mondo in
realtà vide una porzione irrisoria: Gerhard Kremer nacque a
Rupelmonde, nelle Fiandre, e trascorse la sua vita in un fazzoletto
di terra tra Lovanio, Anversa e Duisburg. Ricevette una formazione
umanistica e latinizzò il proprio nome in
Gerardo Mercatore ma, visto che difficilmente la filosofia gli
avrebbe dato di che vivere, la accantonò per studiare matematica e
astronomia; alla speculazione preferì attività più remunerative
come le incisioni su rame, di cui divenne maestro, la costruzione di
globi e la cartografia. Ma se gli aveste chiesto della sua vera
vocazione, vi avrebbe detto senz'altro che era la cosmografia,
ossia lo studio «della disposizione, delle dimensioni e
dell'organizzazione dell'intera macchina del mondo». Compito
ambizioso, che affidò a due grandi opere sistematiche: la
Chronologia (1569), che confrontava il racconto delle
Scritture con fonti babilonesi, ebraiche, egizie, greche e romane nel
tentativo di fornire un quadro armonico e coerente della storia
antica; e l'Atlas sive cosmographicae meditationes de fabrica
mundi et fabricati figura (pubblicato postumo nel 1594), primo
atlante moderno a portare questo nome, che spodestò dopo oltre un
millennio la Geografia di Tolomeo e determinò l'impostazione
e l'ordine della maggior parte degli atlanti dei secoli successivi.
Senza mai allontanarsi più di duecento chilometri dal paese natale,
Mercatore tentò di dominare lo spazio e il tempo mediante la
cosmografia, «la luce di tutta la storia, sia ecclesiastica che
politica… chi la guarda, senza far nient'altro apprenderà da essa più di
quanto non apprenda il viaggiatore dalle sue lunghe, faticose e
costose peripezie (che “spesso muta cieli ma non la sua mente”)».
Per permettere al suo sguardo di abbracciare l'universo il cosmografo
deve innalzarsi, fino quasi a raggiungere il punto di vista di Dio (nell'idea c'è qualcosa di blasfemo, ma non sappiamo se sia legata ai motivi per cui Mercatore venne imprigionato nel 1544 con
l'accusa – dalla quale fu poi prosciolto – di professare l'eresia
luterana).
La
cronologia passò pressoché inosservata, l'atlante vendette bene ma
fu presto superato dalle pubblicazioni del secolo successivo (com'era
inevitabile, giacché gli europei spostavano sempre più in là i
limiti del loro mondo, aggiornandone continuamente la
rappresentazione); a segnare un'autentica pietra miliare nella storia
della cartografia fu invece la sua Nova et aucta orbis terrae
descriptio ad usum navigantium emendate accommodata (1569). Dalla
fine del XV secolo, con l'esplorazione dell'Oceano Indiano e la
scoperta dell'America, il mondo era diventato improvvisamente molto
più vasto di quello di Tolomeo, e di conseguenza più difficile da
rappresentare. Nei primi anni della sua attività di geografo
Mercatore aveva realizzato dei globi, aggirando il problema del
passaggio dalla superficie sferica della Terra a quella piana del
foglio di carta: questo passaggio richiedeva un'elaborazione
geometrica, una proiezione. Già Tolomeo ne aveva ideata una, ma aveva rappresentato solo una porzione relativamente piccola dell'emisfero boreale; per di più i dati
erano così approssimativi che le sue carte non erano di
alcuna utilità per i navigatori. Questi ultimi si orientavano con i
portolani, carte nautiche in cui le rotte da un porto all'altro erano
rappresentate da intricati reticoli di linee rette, corrispondenti a quelle che nel mondo
tridimensionale sono linee curve chiamate
lossodromie. Finché si trattava di navigare nel
Mediterraneo, lo scarto fra la realtà e la sua rappresentazione
bidimensionale era minimo; ma se si tentava di tracciare le
lossodromie sulle vaste distanze oceaniche, la distorsione mandava le
navi fuori rotta. Si poneva dunque il problema di disegnare carte con
linee lossodromiche rette che tenessero conto della curvatura della
Terra, e la soluzione di Mercatore fu geniale nella sua semplicità: adottò una proiezione cilindrica, rettificando i
meridiani e i paralleli, e ottenne una proiezione conforme o
isogonica (che cioè conservava le relazioni angolari fra tutti i
punti della carta) anche se non equivalente (le dimensioni dei
continenti risultavano sempre più dilatate man mano che ci si
allontanava dall'equatore, e i poli erano irrappresentabili dal
momento che nella realtà i meridiani sono convergenti, mentre nella
carta sono paralleli). L'inestimabile vantaggio della conformità era
la possibilità di tracciare una linea retta sulla superficie della
carta e, mantenendo un angolo azimutale costante, arrivare
esattamente a destinazione; se è vero che le grandezze erano
falsate, è anche vero che nell'epoca della navigazione a vela
conoscere la direzione esatta tra due punti era
molto più importante che visualizzarne correttamente la distanza
(anche perché i tempi della traversata oceanica erano determinati da
svariati fattori contingenti).
La proiezione conica di Tolomeo |
Esempio di portolano per la navigazione nel Mediterraneo |
La lossodromia è una linea che forma angoli uguali con tutti i meridiani |
Il funzionamento della proiezione cilindrica di Mercatore |
Sebbene
la presentasse come una carta ad usum navigantium, il
mappamondo di per sé non poteva essere usato come carta nautica;
Mercatore aveva ideato una soluzione perfetta al problema delle
lossodromie, ma non si curò di fornirne una spiegazione matematica
che permettesse di applicarla a mappe su scala più piccola. Solo
dopo che Edward Wright (Certain Errors in Navigation, 1599)
ebbe esplicitato le formule necessarie, la proiezione di Mercatore
poté finalmente a imporsi, dalle carte nautiche del XVII secolo fino
a quelle digitali nell'era di Google Maps. Ma l'aspetto scientifico è
solo una delle ragioni che rendono la sua carta immortale, facendone
quasi l'archetipo eterno del mappamondo. Il planisfero del 1569 è il
simbolo della transizione tra due modi di intendere la
cartografia, è esso stesso a metà strada fra la tradizione
cosmografica antica delle mappae mundi e il nuovo approccio matematico alla geografia. Nell'angolo inferiore sinistro, le
regioni polari sono raffigurate secondo il leggendario resoconto di
viaggio di un monaco del XIV secolo, Nicolas di Lynn; l'immagine
dell'Asia combina i resoconti degli esploratori moderni con le
fantasiose ricostruzioni di Marco Polo; non mancano digressioni sul
mitico Prete Gianni e riferimenti a Plinio, con leggende sui
«Samogedi, cioè popoli che si divorano l'un l'altro», i «Perositi,
con bocche piccole, che vivono dell'odore della carne arrostita» e
«uomini che dissotterrano l'oro delle formiche». La ragione stessa
del lavoro cosmografico era di natura squisitamente teologica:
misurare lo spazio e il tempo, armonizzando il computo degli anni e
le immagini del mondo, aveva per Mercatore lo scopo primario di
comprendere la storia universale, e la sua cronologia era
propedeutica all'escatologia. Nello stesso periodo in cui
lavorava al mappamondo scriveva in una lettera: «Resto convinto che
la guerra che si sta preparando sia quella degli Eserciti del
Signore, citata alla fine del XVII capitolo dell'Apocalisse di San
Giovanni; dove l'Agnello e l'Eletto prevarranno, e la Chiesa fiorirà
come mai prima». Vissuto nel secolo delle guerre di religione, e
scampato lui stesso alle grinfie dell'Inquisizione, Mercatore esprime nella sua opera la ricerca di un'armonia superiore
nell'universalità dello spazio e del tempo, sotto il governo di un
unico «Padre benevolo» estraneo ai conflitti e alle miserie umane.
Citando il suo contemporaneo George Buchanan, e riecheggiando il
commento di Macrobio al Somnium Scipionis, scriverà
nell'Atlas:
Possa tu percepire quanto è piccola la porzione dell'universo che scolpiamo con parole magnifiche in regni orgogliosi: dividiamo con la spada, e acquistiamo con il sangue versato, e facciamo trionfi per una piccola zolla di terra. Quella forza, vista separatamente per se stessa, è grande davvero, ma se la paragoni al tetto stellato del cielo, è come un punto o il seme da cui l'antico Gargettiano [Epicuro] creava innumerevoli mondi. […] Quanto piccola è la parte dell'universo in cui la gloria solleva il suo capo, la collera infuria, la paura ammorba, il dolore brucia, il desiderio porta la ricchezza con la spada, e tende agguati con la fiamma e il veleno; e le vicende umane ribollono con tremante tumulto!
A chi
legga queste parole può sembrare ironico che, dopo aver dominato per
quattrocento anni il mondo della cartografia, la proiezione di
Mercatore sia stata accusata di aver foraggiato l'imperialismo. Nel
1973 lo storico tedesco Arno Peters ha pubblicato la “sua”
proiezione (in realtà la riproposizione della proiezione ortografica
di Gall, risalente al 1855), presentandola come una rappresentazione
fedele delle dimensioni dei paesi e dei continenti in funzione della
loro area, dopo che per secoli il mondo era stato raffigurato
sopravvalutando le dimensioni dell'Europa e del Nord America rispetto
a quelle dell'Africa e del Sud America (riproducendo quindi sul piano
simbolico i rapporti di oppressione e sfruttamento tra il Nord e il
Sud del mondo). L'attacco di Peters a Mercatore è stato sintetizzato
efficacemente nel 2001 in una puntata della serie televisiva The
West Wing (1-2), in cui la rappresentante di una fittizia
“Organizzazione dei cartografi per l'uguaglianza sociale” afferma
che «la proiezione di Mercatore ha alimentato l'atteggiamento
imperialista dell'Europa per secoli e creato pregiudizi nei confronti
dei paesi del Terzo Mondo». La proiezione di Peters ha avuto un
considerevole successo di pubblico, incontrando invece una certa
freddezza tra gli specialisti: in effetti un cartografo che afferma
di aver riprodotto fedelmente la superficie terrestre entro un
reticolo ortogonale è come un matematico che annuncia di aver
risolto il problema della quadratura del cerchio. A voler essere
pignoli, la proiezione di Gall-Peters non è equivalente ed è ancora
più deformante di quella di Mercatore; per di più si basa
sull'assunto (per lo meno discutibile) che vi sia un nesso tra le dimensioni di un paese sulla cartina e la
percezione della sua importanza, o la sensibilità verso i problemi
economici e sociali che lo affliggono. Ma la ragione fondamentale per
liquidare la querelle con un'alzata di spalle è quella più
banale e intuitiva, di ordine puramente estetico: la proiezione di
Peters, oltre che inaccurata, è irrimediabilmente brutta.
Nel
tentativo di abbracciare lo spazio terrestre in uno sguardo,
Mercatore ha concepito un'opera d'arte della cui bellezza fa parte
a pieno titolo l'imperfezione: il suo mappamondo è incompleto perché nella complessità del reale vi è sempre qualcosa di irrappresentabile.
Come i punti di convergenza dei meridiani, che sulla sua carta si allontanano all'infinito, e come l'eschaton inafferrabile in cui è raccolto ogni momento della sua laboriosa Chronologia.
Il mappamondo di Peters (1973) |
La proiezione di Gall-Peters a confronto con le immagini satellitari di Google Maps e con la versione contemporanea della proiezione di Mercatore |
Riferimenti bibliografici:
- J. Brotton, La storia del mondo in dodici mappe, Feltrinelli 2012
- S. Garfield, Il mondo come lo disegniamo, Ponte alle Grazie 2016
- M. Monmonier, Rhumb Lines and Map Wars, The University of Chicago Press 2004
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