giovedì 14 giugno 2018

Mappa mundi di Hereford, 1300 ca.

Immagine tratta da Wikimedia Commons
È una delle mappe più importanti nella storia della cartografia, ha dimensioni imponenti (1,59 x 1,34 metri), ma a prima vista si fatica a identificarla come una mappa; anche quando si inizia a decifrarne le scritte, scoprendo che riportano più di mille nomi di città e regioni, è evidente che la mappa mundi non è una carta geografica nel senso moderno del termine. Non solo per l'orientamento che ci sembra inusuale, con l'est in alto e il nord a sinistra, e nemmeno perché riflette la conoscenza del mondo assai approssimativa di un europeo del XIII secolo; è qualcosa che ha a che vedere con il modo stesso di raffigurare lo spazio, con le informazioni che vengono presentate e con il modo in cui sono state organizzate dal “cartografo”. Cominciamo col chiarire che il termine è anacronistico: allora non esisteva una disciplina chiamata «geografia», né tanto meno la professione del cartografo, e a dirla tutta non c'era nemmeno una parola precisa per designare la carta geografica in senso stretto; mappa in latino voleva dire «tovaglia» o «tovagliolo», e mappa mundi poteva indicare anche un resoconto scritto; un'immagine che rappresentasse il mondo poteva essere definita descriptio, pictura, tabula o – come la nostra mappa di Hereford – estoire, «storia». Un nome decisamente più appropriato.
Per chi avesse voluto imbarcarsi per la Terrasanta, la mappa mundi sarebbe stata di ben poca utilità: i luoghi non sono inseriti in un reticolo geometrico, individuati da coordinate come nella Geografia di Tolomeo; il disegno delle coste è del tutto irriconoscibile e soltanto con un grande sforzo di fantasia riusciamo a riconoscere – dalla posizione e non dalla forma – le isole britanniche, la Spagna, la Francia e l'Italia. Man mano che si procede verso l'alto (cioè verso oriente), la geografia diventa sempre più approssimativa e cede il posto alla mitologia: l'unicorno, il centauro, il grifone, il basilisco, razze semi-umane come i blemmi con la bocca e gli occhi sul petto, gli sciapodi che corrono su una gamba sola, gli androgini… La mappa mundi diventa così una specie di enciclopedia dell'immaginario medievale, una summa delle visioni fantastiche con cui gli europei riempivano l'ignoto dell'Asia e dell'Africa (a proposito: l'autore Riccardo di Haldingham, di cui sappiamo poco o nulla, è tra i candidati al premio per la gaffe più clamorosa nella storia della cartografia, avendo invertito i nomi dell'Europa e dell'Africa, anzi «Affrica»). Ma proseguendo verso est tutto diventa finalmente chiaro, quando lo sguardo passa da Gerusalemme (posta al centro del mondo, sotto un'immagine della crocifissione) a Babilonia (con la Torre di Babele di cui racconta la Genesi), e da lì al Giardino dell'Eden da cui vengono cacciati Adamo ed Eva; in cima, sopra una Madonna in adorazione, troneggia la figura di Cristo. Con il suo miscuglio di teologia cristiana e mitologia pagana, e il suo compendio di dati reali e fantastici, la mappa di Hereford vuole essere nientemeno che la storia del mondo, dalla perdita del Paradiso terrestre al Giorno del Giudizio, passando per l'Incarnazione; non una semplice rappresentazione dello spazio, ma un vasto tentativo di inserire lo spazio nel racconto del tempo.
Per quel che ne sappiamo, l'homo sapiens è l'unica specie al mondo a disegnare mappe, e lo fa da epoche remote (nel 2009 un team di archeologi dell'Università di Saragozza ha annunciato la scoperta di una mappa incisa su pietra risalente a 16mila anni fa, in cui sarebbero rappresentati fiumi, montagne, zone di caccia e aree di raccolta del cibo). In un angolo periferico della carta, tra l'«Anglia» e la «Wallia», la mappa mundi include se stessa; e – anche se l'autore non vi ha attribuito particolare enfasi (non c'è una scritta del tipo «voi siete qui») – a sottolineare il dettaglio ci hanno pensato i secoli: la scritta «Hereford» è molto più consumata degli altri toponimi, e se ne leggono ormai soltanto le ultime tre lettere. Forse migliaia di visitatori che l'hanno ammirata hanno fatto quello che ha fatto chiunque altro quando ha scoperto Google Earth: cercare casa propria. L'hanno indicata col dito e hanno detto ecco, io sono qui. L'eventuale utilità pratica è solo uno dei moventi, e forse nemmeno quello principale, per disegnare e consultare mappe: rappresentare graficamente la realtà, così come raccontarla, serve essenzialmente a darle un ordine, ad attribuirle un senso. E a rassicurarci che, in quell'ordine e in quel senso, noi occupiamo un posto preciso.

La mappa di Hereford condivide con quasi tutte le mappae mundi medievali la forma canonica, la cosiddetta T-O con orientamento a est: il mondo è rappresentato come un cerchio, al cui interno è inscritta una specie di T costituita da tre vie d'acqua (il Mediterraneo in verticale, il Don e il Nilo in orizzontale) che separano i tre continenti. Lo stesso schema si riscontra nelle “mappe” (in realtà si tratta spesso di semplici diagrammi) che corredano vari manoscritti antichi, a testimoniare che la forma T-O è un archetipo di origine romana (a cui sembra alludere anche Riccardo di Haldingham: in alto a sinistra, incastonata nella cornice, la legenda dice che «sotto Giulio Cesare si cominciò a misurare l'orbe terrestre»; nell'angolo basso è rappresentato Cesare Augusto che conferisce l'incarico di mappare i quattro angoli della Terra, sotto una citazione del passo di Luca 2,1 sul censimento di tutto il mondo). Ma i romani devono aver disegnato anche mappe ben diverse: la tabula peutingeriana (copia realizzata nel 1200 di un originale del 300 d.C. andato perduto) rappresenta il territorio dell'impero con una strana compressione verticale che rende pressoché irriconoscibili le coste del Mediterraneo, ma permette di identificare chiaramente la rete di strade, insediamenti, luoghi di sosta, terme, fiumi, templi e foreste.
Particolare della tabula peutingeriana (qui una versione completa)
Al pregevole valore estetico univa una non trascurabile virtù: diversamente dalla mappa di Hereford, la tabula poteva consentire la definizione di un itinerario, dando un'idea abbastanza precisa – se non delle distanze – almeno della direzione da seguire.
Su un principio simile, anche se con rappresentazioni grafiche meno elaborate, dovevano basarsi le guide di viaggio per i pellegrini medievali: una successione di nomi di città, di indicazioni della strada da prendere e delle distanze da percorrere per arrivare a destinazione. Anche ai marinai, dal momento che navigavano con la costa sempre in vista, non servivano disegni e forme precise: era sufficiente conoscere la successione dei porti che avrebbero incontrato. È con i primi viaggi oceanici, quando le navi iniziarono ad avventurarsi in mare aperto, che la cartografia diventò una disciplina di incomparabile valore politico, economico e militare: una volta che il trattato di Tordesillas aveva fissato il meridiano che divideva il mondo in due emisferi, uno assegnato agli spagnoli e uno ai portoghesi, stabilire da che parte della raya si trovassero le isole Molucche diventò questione di vitale importanza. Nel Cinquecento la capacità di rappresentare il mondo era presupposto indispensabile della possibilità di dominarlo.
Oggi che una rappresentazione dettagliata del mondo è alla portata di chiunque, le “mappe” di cui effettivamente ci serviamo tornano a somigliare agli stradari romani e medievali: i navigatori satellitari ci risparmiano la fatica di orientarci in una rappresentazione complessa del mondo, sostituendola con una semplice serie di istruzioni che ci guidano esattamente là dove vogliamo andare; chiunque è in grado di spostarsi da un luogo a un altro, anche non avendo la più pallida idea di come collocarli nello spazio. Google ha permesso il salto epocale dalla tradizionale cartina geografica su superficie piana a un'accuratissima ricostruzione tridimensionale del mondo, ma la maggior parte dei viaggiatori utilizza mappe a una dimensione, e l'ordine e il senso non sono più una laboriosa conquista dell'immaginazione cartografica e della capacità di orientamento. Nell'era della navigazione satellitare, le mappe sono prive di ambizioni estetiche ma straordinariamente efficaci: esse tracciano un'unica strada che attraversa un mondo privo di mistero, il cui senso non appare più problematico, ma in cui abbiamo perso la capacità di perderci.
Un esempio di mappa unidimensionale

Riferimenti bibliografici
  • J. Brotton, La storia del mondo in dodici mappe, Feltrinelli 2015
  • S. Garfield, Sulle mappe, Ponte alle Grazie 2016
  • P. Utrilla, C. Mazo, M. Sopena, M. Martínez-Bea, R. Domingo, A Palaeolithic map from 13,660 calBP: engraved stone blocks from the Late Magdalenian in Abauntz Cave (Navarra, Spain), «Journal of Human Evolution», LVII, n. 2, August 2009

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