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Per
chi avesse voluto imbarcarsi per la Terrasanta, la mappa
mundi sarebbe stata di ben poca
utilità: i luoghi non sono inseriti in un reticolo geometrico,
individuati da coordinate come nella Geografia di
Tolomeo; il disegno delle coste è del tutto irriconoscibile e
soltanto con un grande sforzo di fantasia riusciamo a riconoscere –
dalla posizione e non dalla forma – le isole britanniche, la
Spagna, la Francia e l'Italia. Man mano che si procede verso l'alto
(cioè verso oriente), la geografia diventa sempre più
approssimativa e cede il posto alla mitologia: l'unicorno, il
centauro, il grifone, il basilisco, razze semi-umane come i blemmi
con la bocca e gli occhi sul petto, gli sciapodi che corrono su una
gamba sola, gli androgini… La mappa mundi diventa
così una specie di enciclopedia dell'immaginario medievale, una
summa
delle visioni fantastiche con cui gli europei
riempivano l'ignoto dell'Asia e dell'Africa (a proposito: l'autore
Riccardo di Haldingham, di cui sappiamo poco o nulla, è tra i
candidati al premio per la gaffe più clamorosa nella storia della
cartografia, avendo invertito i nomi dell'Europa e dell'Africa, anzi
«Affrica»). Ma proseguendo verso est tutto diventa finalmente
chiaro, quando lo sguardo passa da Gerusalemme (posta al centro del
mondo, sotto un'immagine della crocifissione) a Babilonia (con la
Torre di Babele di cui racconta la Genesi),
e da lì al Giardino dell'Eden da cui vengono cacciati Adamo ed Eva;
in cima, sopra una Madonna in adorazione, troneggia la figura di
Cristo. Con il suo miscuglio di teologia cristiana e mitologia
pagana, e il suo compendio di dati reali e fantastici, la mappa di
Hereford vuole essere nientemeno che la storia del mondo, dalla
perdita del Paradiso terrestre al Giorno del Giudizio, passando per
l'Incarnazione; non una semplice rappresentazione dello spazio, ma un
vasto tentativo di inserire lo spazio nel racconto del tempo.
Per quel che ne
sappiamo, l'homo sapiens è l'unica specie al mondo a
disegnare mappe, e lo fa da epoche remote (nel 2009 un team di
archeologi dell'Università di Saragozza ha annunciato la scoperta di
una mappa incisa su pietra risalente a 16mila anni fa, in cui
sarebbero rappresentati fiumi, montagne, zone di caccia e aree di
raccolta del cibo). In un angolo periferico della carta, tra
l'«Anglia» e la «Wallia», la mappa mundi include se
stessa; e – anche se l'autore non vi ha attribuito particolare
enfasi (non c'è una scritta del tipo «voi siete qui») – a
sottolineare il dettaglio ci hanno pensato i secoli: la scritta
«Hereford» è molto più consumata degli altri toponimi, e se ne
leggono ormai soltanto le ultime tre lettere. Forse migliaia di
visitatori che l'hanno ammirata hanno fatto quello che ha fatto
chiunque altro quando ha scoperto Google Earth: cercare casa propria.
L'hanno indicata col dito e hanno detto ecco, io sono qui.
L'eventuale utilità pratica è solo uno dei moventi, e forse nemmeno
quello principale, per disegnare e consultare mappe: rappresentare
graficamente la realtà, così come raccontarla, serve essenzialmente
a darle un ordine, ad attribuirle un senso. E a rassicurarci
che, in quell'ordine e in quel senso, noi occupiamo un posto preciso.
La
mappa di Hereford condivide con quasi tutte le mappae mundi
medievali la forma canonica, la
cosiddetta T-O con orientamento a est: il mondo è rappresentato come
un cerchio, al cui interno è inscritta una specie di T costituita da
tre vie d'acqua (il Mediterraneo in verticale, il Don e il Nilo in
orizzontale) che separano i tre continenti. Lo stesso schema si
riscontra nelle “mappe” (in realtà si tratta spesso di semplici
diagrammi) che corredano vari manoscritti antichi, a testimoniare che
la forma T-O è un archetipo di origine romana (a cui sembra alludere
anche Riccardo di Haldingham: in alto a sinistra, incastonata nella
cornice, la legenda dice che «sotto Giulio Cesare si cominciò a
misurare l'orbe terrestre»; nell'angolo basso è rappresentato
Cesare Augusto che conferisce l'incarico di mappare i quattro angoli
della Terra, sotto una citazione del passo di Luca 2,1 sul censimento
di tutto il mondo). Ma i romani devono aver disegnato anche mappe ben
diverse: la tabula peutingeriana
(copia realizzata nel 1200 di un originale del 300 d.C. andato
perduto) rappresenta il territorio dell'impero con una strana
compressione verticale che rende pressoché irriconoscibili le coste
del Mediterraneo, ma permette di identificare chiaramente la rete di
strade, insediamenti, luoghi di sosta, terme, fiumi, templi e
foreste.
Particolare della tabula peutingeriana (qui una versione completa) |
Al pregevole valore estetico univa una non trascurabile
virtù: diversamente dalla mappa di Hereford, la tabula
poteva consentire la definizione
di un itinerario, dando un'idea abbastanza precisa – se non delle
distanze – almeno della direzione da seguire.
Su un
principio simile, anche se con rappresentazioni grafiche meno
elaborate, dovevano basarsi le guide di viaggio per i pellegrini
medievali: una successione di nomi di città, di indicazioni della
strada da prendere e delle distanze da percorrere per arrivare a
destinazione. Anche ai marinai, dal momento che navigavano con la costa
sempre in vista, non servivano disegni e forme precise: era
sufficiente conoscere la successione dei porti che avrebbero
incontrato. È con i primi viaggi oceanici, quando le navi iniziarono
ad avventurarsi in mare aperto, che la cartografia diventò una
disciplina di incomparabile valore politico, economico e militare:
una volta che il trattato di Tordesillas aveva fissato il meridiano
che divideva il mondo in due emisferi, uno assegnato agli spagnoli e
uno ai portoghesi, stabilire da che parte della raya si
trovassero le isole Molucche diventò questione di vitale importanza.
Nel Cinquecento la capacità di rappresentare il mondo era
presupposto indispensabile della possibilità di dominarlo.
Oggi
che una rappresentazione dettagliata del mondo è alla portata di
chiunque, le “mappe” di cui effettivamente ci serviamo tornano a
somigliare agli stradari romani e medievali: i navigatori satellitari
ci risparmiano la fatica di orientarci in una rappresentazione
complessa del mondo, sostituendola con una semplice serie di
istruzioni che ci guidano esattamente là dove vogliamo andare;
chiunque è in grado di spostarsi da un luogo a un altro, anche non
avendo la più pallida idea di come collocarli nello spazio. Google
ha permesso il salto epocale dalla tradizionale cartina geografica su
superficie piana a un'accuratissima ricostruzione tridimensionale del
mondo, ma la maggior parte dei viaggiatori utilizza mappe a una
dimensione, e l'ordine e il senso non sono più una laboriosa
conquista dell'immaginazione cartografica e della capacità di
orientamento. Nell'era
della navigazione satellitare, le mappe sono prive di ambizioni
estetiche ma straordinariamente efficaci: esse tracciano un'unica
strada che attraversa un mondo privo di mistero, il cui senso non appare più
problematico, ma in cui abbiamo perso la capacità di perderci.
Un esempio di mappa unidimensionale |
Riferimenti bibliografici
- J. Brotton, La storia del mondo in dodici mappe, Feltrinelli 2015
- S. Garfield, Sulle mappe, Ponte alle Grazie 2016
- P. Utrilla, C. Mazo, M. Sopena, M. Martínez-Bea, R. Domingo, A Palaeolithic map from 13,660 calBP: engraved stone blocks from the Late Magdalenian in Abauntz Cave (Navarra, Spain), «Journal of Human Evolution», LVII, n. 2, August 2009
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