Principali trasferimenti di popolazione e catastrofi demografiche
tra il periodo napoleonico e lo scoppio della seconda guerra mondiale.
I confini rappresentati sono quelli del 1914.
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«L'esperienza
europea del lungo Ottocento aiuta anche a combattere un pericoloso
luogo comune, e cioè che – nei paesi poveri – sia l'assenza di
sviluppo la causa dell'emigrazione e che, sostenendo quello, si
attenui la pressione di questa. Questo punto di vista male interpreta
la natura del processo di sviluppo che è (quasi sempre) distruttivo
e destabilizzatore della società rurale e che nel breve e nel medio
termine acuisce le pressioni migratorie piuttosto che ridurle.
Nelle economie agricole, il prodotto è determinato non dai mercati ma dalle dimensioni e dalla composizione delle famiglie, e le relazioni economiche e sociali si fondano su ipotesi di stabilità e continuità. Lo sviluppo economico inevitabilmente distrugge questa stabilità dei sistemi economici e sociali attraverso tre processi che si rinforzano mutuamente: la sostituzione del capitale al lavoro, la privatizzazione e il consolidamento delle proprietà agricole, la creazione di mercati. La distruzione dell'economia contadina crea una fondo di persone dislocate socialmente ed economicamente con legami indeboliti con la terra, la comunità e le tradizioni. Questi contadini dislocati sono il serbatoio per le migrazioni interne e internazionali.
Ricordiamocene per
oggi, e per domani. Una prima fase dello sviluppo dei paesi africani
più poveri sta provocando squilibri simili a quelli che avvennero
nel mondo rurale europeo, generando condizioni ed aspettative
favorevoli all'emigrazione» (Massimo Livi Bacci, In cammino, pp. 68-69).
Riferimenti bibliografici:
- M. Colucci, M. Sanfilippo, Le migrazioni. Un'introduzione storica, Carocci 2009
- M. Livi Bacci, In cammino. Breve storia delle migrazioni, Il Mulino 2010
Cesare Grazioli, I numeri che fanno la storia (ma non a scuola)
Bruno Paradisi e Otto von Frisch, Migrazioni umane
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