martedì 19 giugno 2018

I grandi flussi migratori (1800-1940)

Principali trasferimenti di popolazione e catastrofi demografiche
tra il periodo napoleonico e lo scoppio della seconda guerra mondiale.
I confini rappresentati sono quelli del 1914.
«L'esperienza europea del lungo Ottocento aiuta anche a combattere un pericoloso luogo comune, e cioè che – nei paesi poveri – sia l'assenza di sviluppo la causa dell'emigrazione e che, sostenendo quello, si attenui la pressione di questa. Questo punto di vista male interpreta la natura del processo di sviluppo che è (quasi sempre) distruttivo e destabilizzatore della società rurale e che nel breve e nel medio termine acuisce le pressioni migratorie piuttosto che ridurle.
Nelle economie agricole, il prodotto è determinato non dai mercati ma dalle dimensioni e dalla composizione delle famiglie, e le relazioni economiche e sociali si fondano su ipotesi di stabilità e continuità. Lo sviluppo economico inevitabilmente distrugge questa stabilità dei sistemi economici e sociali attraverso tre processi che si rinforzano mutuamente: la sostituzione del capitale al lavoro, la privatizzazione e il consolidamento delle proprietà agricole, la creazione di mercati. La distruzione dell'economia contadina crea una fondo di persone dislocate socialmente ed economicamente con legami indeboliti con la terra, la comunità e le tradizioni. Questi contadini dislocati sono il serbatoio per le migrazioni interne e internazionali.
Ricordiamocene per oggi, e per domani. Una prima fase dello sviluppo dei paesi africani più poveri sta provocando squilibri simili a quelli che avvennero nel mondo rurale europeo, generando condizioni ed aspettative favorevoli all'emigrazione» (Massimo Livi Bacci, In cammino, pp. 68-69).

Riferimenti bibliografici:
  • M. Colucci, M. Sanfilippo, Le migrazioni. Un'introduzione storica, Carocci 2009
  • M. Livi Bacci, In cammino. Breve storia delle migrazioni, Il Mulino 2010
Max Galka, All the World's Immigration Visualized in 1 Map
Cesare Grazioli, I numeri che fanno la storia (ma non a scuola)
Bruno Paradisi e Otto von Frisch, Migrazioni umane


domenica 17 giugno 2018

I grandi flussi migratori (secoli XVI-XVIII)

Principali trasferimenti di popolazione (1500-1800)
Data l'assenza di statistiche precise e la variabilità delle stime proposte dagli storici (ad esempio, per quanto riguarda la popolazione delle Americhe alla vigilia della conquista europea - e dunque l'entità della catastrofe demografica che ne seguì - i numeri oscillano tra i 40 e gli 80 milioni), le cifre qui proposte sono puramente indicative e servono più che altro a dare un'idea dell'ordine di grandezza.
Per valutare l'incidenza dei fenomeni qui rappresentati, è bene tenere presente il quadro demografico (anch'esso ovviamente approssimativo) in cui si verificano: nel periodo preso in esame, tra la conquista europea dell'America e l'epoca delle guerre napoleoniche, la popolazione
- dell'Europa occidentale passa da 57 a 133 milioni
- delle Americhe passa da 21 a 33 milioni
- dell'Africa passa da 47 a 74 milioni
- del mondo passa da 438 a 1.272 milioni.

Riferimenti bibliografici:

  • M. Livi Bacci, In cammino. Breve storia delle migrazioni, Il Mulino 2010

giovedì 14 giugno 2018

Mappa mundi di Hereford, 1300 ca.

Immagine tratta da Wikimedia Commons
È una delle mappe più importanti nella storia della cartografia, ha dimensioni imponenti (1,59 x 1,34 metri), ma a prima vista si fatica a identificarla come una mappa; anche quando si inizia a decifrarne le scritte, scoprendo che riportano più di mille nomi di città e regioni, è evidente che la mappa mundi non è una carta geografica nel senso moderno del termine. Non solo per l'orientamento che ci sembra inusuale, con l'est in alto e il nord a sinistra, e nemmeno perché riflette la conoscenza del mondo assai approssimativa di un europeo del XIII secolo; è qualcosa che ha a che vedere con il modo stesso di raffigurare lo spazio, con le informazioni che vengono presentate e con il modo in cui sono state organizzate dal “cartografo”. Cominciamo col chiarire che il termine è anacronistico: allora non esisteva una disciplina chiamata «geografia», né tanto meno la professione del cartografo, e a dirla tutta non c'era nemmeno una parola precisa per designare la carta geografica in senso stretto; mappa in latino voleva dire «tovaglia» o «tovagliolo», e mappa mundi poteva indicare anche un resoconto scritto; un'immagine che rappresentasse il mondo poteva essere definita descriptio, pictura, tabula o – come la nostra mappa di Hereford – estoire, «storia». Un nome decisamente più appropriato.
Per chi avesse voluto imbarcarsi per la Terrasanta, la mappa mundi sarebbe stata di ben poca utilità: i luoghi non sono inseriti in un reticolo geometrico, individuati da coordinate come nella Geografia di Tolomeo; il disegno delle coste è del tutto irriconoscibile e soltanto con un grande sforzo di fantasia riusciamo a riconoscere – dalla posizione e non dalla forma – le isole britanniche, la Spagna, la Francia e l'Italia. Man mano che si procede verso l'alto (cioè verso oriente), la geografia diventa sempre più approssimativa e cede il posto alla mitologia: l'unicorno, il centauro, il grifone, il basilisco, razze semi-umane come i blemmi con la bocca e gli occhi sul petto, gli sciapodi che corrono su una gamba sola, gli androgini… La mappa mundi diventa così una specie di enciclopedia dell'immaginario medievale, una summa delle visioni fantastiche con cui gli europei riempivano l'ignoto dell'Asia e dell'Africa (a proposito: l'autore Riccardo di Haldingham, di cui sappiamo poco o nulla, è tra i candidati al premio per la gaffe più clamorosa nella storia della cartografia, avendo invertito i nomi dell'Europa e dell'Africa, anzi «Affrica»). Ma proseguendo verso est tutto diventa finalmente chiaro, quando lo sguardo passa da Gerusalemme (posta al centro del mondo, sotto un'immagine della crocifissione) a Babilonia (con la Torre di Babele di cui racconta la Genesi), e da lì al Giardino dell'Eden da cui vengono cacciati Adamo ed Eva; in cima, sopra una Madonna in adorazione, troneggia la figura di Cristo. Con il suo miscuglio di teologia cristiana e mitologia pagana, e il suo compendio di dati reali e fantastici, la mappa di Hereford vuole essere nientemeno che la storia del mondo, dalla perdita del Paradiso terrestre al Giorno del Giudizio, passando per l'Incarnazione; non una semplice rappresentazione dello spazio, ma un vasto tentativo di inserire lo spazio nel racconto del tempo.
Per quel che ne sappiamo, l'homo sapiens è l'unica specie al mondo a disegnare mappe, e lo fa da epoche remote (nel 2009 un team di archeologi dell'Università di Saragozza ha annunciato la scoperta di una mappa incisa su pietra risalente a 16mila anni fa, in cui sarebbero rappresentati fiumi, montagne, zone di caccia e aree di raccolta del cibo). In un angolo periferico della carta, tra l'«Anglia» e la «Wallia», la mappa mundi include se stessa; e – anche se l'autore non vi ha attribuito particolare enfasi (non c'è una scritta del tipo «voi siete qui») – a sottolineare il dettaglio ci hanno pensato i secoli: la scritta «Hereford» è molto più consumata degli altri toponimi, e se ne leggono ormai soltanto le ultime tre lettere. Forse migliaia di visitatori che l'hanno ammirata hanno fatto quello che ha fatto chiunque altro quando ha scoperto Google Earth: cercare casa propria. L'hanno indicata col dito e hanno detto ecco, io sono qui. L'eventuale utilità pratica è solo uno dei moventi, e forse nemmeno quello principale, per disegnare e consultare mappe: rappresentare graficamente la realtà, così come raccontarla, serve essenzialmente a darle un ordine, ad attribuirle un senso. E a rassicurarci che, in quell'ordine e in quel senso, noi occupiamo un posto preciso.